Chi non dubita non cubita


giovedì 15 dicembre 2011

I MOSTRI DI FIRENZE


Uno che sta a Firenze, come me, che ci è nato, in pieno centro, che ci ha vissuto tutta la propria vita, ci ha arrancato, trombato, sorriso, sudato, sofferto, esultato, ogni volta, stranamente, deve ancora stupirsi per quanto questa città si confermi, come direbbe il mio amico Marco Masini, una gran bella stronza.


Che fosse una città facile non l'ho mai pensato, e così nemmeno Dante, ai suoi tempi. Il fiorentino è uno che si pasce ancora dei fasti passati, che si è fermato al Rinascimento senza essere entrato nemmeno in uno dei grandi musei di cui si vanta. Uno superbo, uno ganzo, che sentendosi atavicamente superiore ti piglia facile per il culo.
Sempre che di fiorentini veri ce ne siano rimasti.


Perché il fiorentino oggi è merce rara, e la fiorentina non molti ormai se la possono permettere, nel senso di bistecca. Nel senso di ragazza è una di quelle che te la danno di meno. Anche nel senso di squadra te ne dà poche, di soddisfazioni. 
Insomma, da quando a un sindaco venne in mente di chiamarla 'città aperta', Firenze si è riempita sempre più di forestieri diventati stanziali senza che vi esistessero umane strutture di accoglienza né minime possibilità di sopravvivenza. 
Ospiti ben distinguibili e distinti da quelli in transito, normalmente chiamati turisti. O polli da spennare, a scelta.


Io ho sempre pensato a una Firenze città ideale, invece. Pura velleità di un idealista, appunto. Uno che vorrebbe una perfetta integrazione di popoli diversi, uno che si bea nel vedere uscire dalle scuole ragazzini di ogni colore e privi, loro, di qualsiasi pregiudizio.
Al contrario, nella mia non ideale città vedo tanto disagio di gente che si arrabatta per vivere decentemente, e non ce la fa, non aiutata dal colore della pelle e a volte dalla scarsa o assente volontà di integrarsi.
Vedo il disagio dei bianchicci, specie di quelli che ancora ricordano una città di cui erano i soli padroni.
Vedo il degrado generale di un centro storico Patrimonio dell'Umanità che mi costringe, per godermi qualcosa di bello, ad alzare gli occhi dove non arriva la mano dell'uomo. E a tapparmi il naso per non sentire il pungente puzzo di piscio. E a guardare dove metto i piedi per evitare i cocci delle bottiglie di birra scagliate a terra dagli ubriachi della notte, e i loro larghi vomiti.


Firenze è piena di mostri. E, vorace, si appropria pure di quelli del contado. Anche se tutto si svolse nei dintorni, gli omicidi delle coppiette, sempre vivi nella mente di ognuno, furono bollati come quelli del Mostro di Firenze. 
Un altro mostro è l'Arno, pisciatina di fiume solo di passaggio, che quando dà di fuori però crea le alluvioni più famose. L'ultima, di ormai 45 anni fa, è ancora nell'immaginario di tutti: l'Alluvione di Firenze è conosciuta anche da chi è nato molto dopo il '66.


Firenze fa scena, e attira mostri da ogni dove, anche 'solo' per piazzare un'autobomba ai Georgofili. 
Persino la sua arte è mostruosamente bella, tanto da provocare una sindrome che pur prendendo il nome da Stendhal si riconduce inevitabilmente a Lei, alla nostra dolce e terribile mamma-aguzzina che però, se siamo suoi figli veri, amiamo, non ricambiati, disperatamente.


L'ultimo mostro è sceso dalla montagna pistoiese per uccidere. A Firenze. Dove, sennò?
L'imbecille ha sfogato chissà quali e quante intime repressioni contro le vittime più facili e indifese. Come fanno i cacciatori con gli uccelli.
Senza rendersi conto che il suo gesto produrrà l'effetto esattamente contrario agli intenti che l'hanno mosso.
Il bischero.


Firenze giace in una conca caldissima d'estate e freddissima d'inverno. Ma in questo inverno innaturalmente mite sta già chiedendosi, maligna e sorniona: "Chi sarà il prossimo mostro?".


Vorrei non essere io.


Gianni Greco